martedì 20 settembre 2011

RISPOSTA A SERGIO ZAVOLI

Che vergogna, caro Sergio!
Ci siamo visti domenica scorsa a Pieve Santo Stefano per il nostro Premio, ti ho dato i miei documenti sulla pacificazione tra gli italiani, credevo che tu li avessi visti e condivisi. Invece leggo oggi su “La Nazione” il tuo articolo retrivo e un po’ banale e scontato (ma scritto molto bene!), in cui si afferma che il ricordo e la pietà per le vittime “non deve tradire chi ha combattuto dalla parte della libertà”. E soprattutto guai ai “revisionismi falsificanti”!
Nulla di più falso si poteva dire!
I Partigiani hanno combattuto non tanto per la libertà quanto per la democrazia, per un pluripartitismo democratico (alcuni) o per un “soviet” similrusso (altri, i più decisi, i più crudeli, che per fortuna – o per Yalta!- non hanno vinto).
I Partigiani hanno “vinto”, (o meglio, hanno vinto gli Alleati!) e hanno iniziato, loro sì, una “storia falsificata” tutta da rivedere, amplificando meriti e azioni, quasi avessero loro liberato l’Italia! Ecco perché ora occorre un vero revisionismo scientifico, dove sia bandita per sempre l’ideologia e il mito. Altrimenti si vuole solo perpetuare l’odio del “vincitore” nei confronti del “vinto”.
La storia non può essere lasciata alla mercè degli ideologi, e men che meno agli storici ideologi che risentono delle necessità di consolidamento e di conservazione del potere dei “vincitori”. Quasi direi che, nei confronti della verità storica, sono più affidabili i “vinti”!.
Nessun “vincitore” ha mai detto o sostenuto che era “dalla parte sbagliata”. Allora, vince sempre la “parte giusta”? Se fosse così, dovremmo ammettere l’idea della esistenza di un Demiurgo della storia! In realtà non esiste una parte giusta e una sbagliata, ma una che vince e una che perde. La vera parte giusta è la buonafede individuale e di gruppo.
La storia è una scienza, con i propri elementi tipici di causa a effetto, e va trattata da storici scienziati. Soprattutto, non esiste un giudizio della storia, esiste un giudizio degli uomini, che purtroppo risente della ideologia di ciascuno. Per questo non deve essere mai dato alcun giudizio. Ha ragione Hegel quando dice che tutti, nella storia, hanno ragione contemporaneamente, purchè – dico io – svolgano ciascuno le proprie azioni in perfetta e cosciente buonafede. E’ triste che tu definisca non-storia e paradosso le sue affermazioni, perché ancora una volta ciò dimostra la tua “ideologia del vincitore” e nessuna volontà di pacificazione rendendo a ciascuno il meritato onore, che non è una ipocrita equiparazione o equivoca omologazione ma rispetto assoluto della buonafede e delle idee di chi morì per esse.
I Repubblicani seguaci della Repubblica Sociale Italiana, totalitaristi, anch’essi combattevano per la libertà, ma per una libertà della Patria dallo strangolamento commerciale impostoci dagli imperi francese e inglese, mentre non concepivano la libertà individuale se non temperata in una concezione totalitaria, delegando al Capo del Governo molte delle libertà inutili e dannose di cui usufruiamo noi. Ciascuno dei due contendenti ha uguale dignità e merita uguale ascolto e considerazione; sarà la concezione ideologica di ciascuno di noi a farci scegliere.
Nessuno ha mai dimostrato che la democrazia pluripartitica sia la migliore forma di governo. Certamente, laddove molti controllano, dovrebbe (ma le cosche, e le mafie?) esserci minore corruzione e maggiore libertà individuale, se meritata con comportamenti virtuosi. Certo, se la libertà per cui i Partigiani hanno combattuto e sono morti da eroi, è quella che abbiamo noi, di fare i propri porci comodi ammantandoci di democrazia, li abbiamo traditi terribilmente.
Tu citi Einaudi, Carlo Azeglio Ciampi, etc; ma cosa dovevano dire? Per “conservare” la propria posizione non potevano che dire: “la Resistenza è stata la conclusione del Risorgimento e la rinascita della Patria”. Peccato che le stesse cose le avesse già dette Mussolini, anni prima, sostituendo la parola “Fascismo” alla parola “Resistenza” !
Oggi, sulla via della pace, e nei 150 anni dell’Unità d’Italia, c’è solo da chiedere che ad ogni manifestazione, che ricordi e onori quanti si sono sacrificati da una parte e dall’altra, siano presenti le Delegazioni di ciascuna delle due parti. Sappiamo che l’Unione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana (U.N.C.R.S.I.) è pronta a intervenire – se invitata – e ad onorare i morti Partigiani. Non sappiamo se l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (A.N.P.I.) è ugualmente pronta. Lo speriamo vivamente, altrimenti stavolta vedremmo davvero quale è la parte giusta e quale la parte sbagliata.

SERGIO ZAVOLI - ARTICOLO E RISPOSTA DI FABIO UCCELLI

17 settembre 2011 SERGIO ZAVOLI:
L'odore del tempo - intervento - QN-Il Giorno-Il Resto del Carlino-La Nazione
Zavoli: Una comune volontà di Patria nasce dalla cura della memoria
Il 21 SETTEMBRE con la "battaglia di Rimini" e la conquista della città - cadeva così il caposaldo orientale della "Linea Gotica", l`altro era sul Tirreno all`altezza di Livorno - aveva inizio la fase finale della guerra sul fronte italiano. Quella battaglia costò un prezzo di sangue che ha parte dei suoi segni nel grande cimitero dei vincitori, disteso in un`enorme prato nei pressi di Coriano, l`epicentro dello scontro decisivo. Per poter condividere un unico "sì" alla pace, raccogliendoci in una comune riflessione, venne scelta quella semina di croci bianche, dove terrò il discorso del "ricordo" di tutta la gente sopravvissuta a un massacro che richiama l`immagine dolentissima, di Aurobindo, delle «farfalle posatesi dopo la battaglia, indifferentemente, sui vinti uccisi e i vincitori addormentati», riuniti dalla metafora della pietà. C`erano tutti i sindaci, una selva di tricolori traversi e di labari alzati in nome di un martirio venuto a consumarsi sulle colline che a raggiera declinano dolcemente verso Rimini, dove lo studioso Amedeo Montaggi colloca il collasso cruciale dell`armata tedesca. Non saremmo qui, si ripeté quel 25 aprile usando le parole di Einaudi, se un`interpretazione popolare e resistenziale della pace non fosse divenuta la premessa e la garanzia di tutte le libertà repubblicane sancite dalla Costituzione; nella quale riconosciamo il significato più alto della democrazia, regola fondante dei nostri ordinamenti. Carlo Azeglio Ciampi, ricordando i caduti militari e civili - da quelli di Cefalonia a quelli lasciati nelle valli, sulle montagne, dentro le città del nostro Paese - affermerà che la Resistenza era stata, insieme, «la conclusione del Risorgimento e la rinascita della Patria».
ED ERAVAMO in quel giorno, perché il presente aveva avuto, nel bene e nel male, quel passato.
Spentesi le ideologie, caduti i Muri, ci siamo responsabilmente dedicati alla ricerca, senza cadere in "revisioni falsificanti", di una credibile pacificazione. In un ritrovato sentimento di cittadinanza dovevano rinascere grandi valori condivisi: della
pace, della libertà, della giustizia, dei diritti spettanti al lavoro, all`intelletto e allo spirito, profano e religioso che fosse; bisognava liberarsi
dalla "terra dei morti", com`era l`Italia, per il poeta Lamartine, prima del Risorgimento, e per farlo non valeva la politica dei sepolcri: ne occorreva un`altra, capace di tener desta una memoria che accreditasse l`identità di un Paese intero, interpretandone la molteplicità culturale,
civile, etica.
In anni cruciali, quell`identità ne divenne l`atto, insieme, testimoniale e sacrificale. Conservarne l`ammonimento esigeva che non si restasse prigionieri di
ormai logore, fuorvianti barriere ideologiche, ma neppure che si volesse un`ipocrita equiparazione di ogni cosa - al venire di ogni 25 aprile - per contare i superstiti
dell`irriducibilità.
Non, dunque, l`equivoca omologazione di principi e di fedi reclamata nel nome sacro del sangue versato da una parte e dall`altra, ma la distinzione del fatale, ineludibile confine di una tragedia che vide consumarsi lo scontro tra due cause inconciliabili. Credo che nessuno, oggi, vorrebbe rifugiarsi nel sommario e liquidatorio invito hegeliano a credere che «tutti, per la storia, hanno
ragione contemporaneamente». E un paradosso filosofico, estraneo alla natura della storia stessa. Anzi, è la non-storia, pur sembrandone il massimo dell`autenticazione.
EMBLEMATICO a tale proposito è l`incontro, a Boves, tra cittadini di quel luogo martire - medaglia d`oro
della Resistenza, sede della famosa "Scuola di pace" - e una rappresentanza del popolo tedesco venuta a testimoniare, con quello che viene chiamato il "pellegrinaggio del perdono", una reale volontà di emendamento: un atto di altezza civile emozionante
e severa, per testimoniare che cosa significa una "riconciliazione" cui non poteva restare estraneo,
in una lettura anche cristiana della storia, il proposito di comprendere i perché delle scelte compiute, negli anni tra l`adolescenza e la giovinezza, «dalla parte sbagliata», come scrive Carlo Mazzantini, allora giovane aderente alla Repubblica Sociale, in un libro diventato
famoso, "C`eravamo tanto odiati", scritto a quattro mani con il comandante partigiano Rosario Bentivegna. Non deve costare nulla il convenire, con Mazzantini, che a quell`età «si può prendere la strada sbagliata per nobili ragioni». Ed è superfluo insistere sulla fin troppo risonante saggezza secondo la quale nella vita di un uomo, e figuriamoci di un popolo, c`è un passato che non è mai passato del tutto. Ecco perché il rinnovare la memoria di
ciò che fu un grande bene riconquistato, per ciascuno e per tutti, avrà il suo pregio maggiore nel riviverla
non attraverso cataloghi di genere archivistico, toni celebrativi o, peggio, rivalse e rancori reciproci, ma
nel metterci al servizio della realtà secondo i termini equi e indissolubili della ragione e della coscienza.
Non si esce indenni - di fronte alla Storia, ma neppure davanti a Dio e a noi stessi - da una tragedia come quella. Ecco perché occorre misurare la memoria con il metro della realtà, non neutrale e neppure fazioso,
suscitando e addirittura generando l`unico modo di tenere insieme,per dir così, l`animo e il corpo di una così lacerante questione. La Repubblica, d`altronde, è garante
di tutto quanto si riassume nell`unica Patria di cui è madre; non nelle tante, piccole patrie che pure rispettiamo e amiamo, ma che non devono scomporre, come si vorrebbe, l`unità del Paese a lungo sognata e finalmente raggiunta.
LA RICOSTRUZIONE di un Paese devastato dalla guerra che l`aveva percorso dalla Sicilia al Po ci pare oggi un miracolo di coraggio, unità e concordia. Dovremmo essere capaci di rinnovarlo, superando i gretti egoismi in cui siamo avviluppati mentre va rimesso in moto un Paese fermo e frastornato.
C`è un`eredità morale e politica lasciata da quanti hanno affrontato, tra "la luna e i falò", una tragica notte,
decisi a vedere l`alba.
Non è necessario, in un senso o nell`altro, enfatizzare, declamare, proclamare. È sufficiente una pacata, lucida, comune volontà di pace, civile e sociale, fatta di lavoro, di equità, di certezze. Specie per i giovani, perché non si affaccino sul futuro con la sola sicurezza di doverci
vivere.
L`uomo, dice un`antica sapienza, è la conseguenza di ciò che pensa.
NOI PENSIAMO, e lo ripetemmo di fronte a chi - in un camposanto ospitale come un giardino, ma di più, come una casa - è ormai affiliato alla nostra gente, che quei giovani uomini vennero a morire qui da storie diverse, ma rimasti uguali per generosità, consapevolezza e coraggio.
Tre virtù, allora, da spendere e condividere sulla via della pace, di casa in casa, di valle in valle, di
paese in paese, di città in città. Ciò che oggi attraversa quel solo luogo che si chiama nazione, è una realtà difficile, che non rispecchia tutte le sue premesse, ma a maggior motivo quella ricchezza andrà ritrovata nel
ricordo di una storia che, ben più grave dei suoi aspetti odierni, avrebbe davvero potuto travolgerci. Purché
patria, anche con la minuscola, non sembri un modo di dire.