Che vergogna, caro Sergio!
Ci siamo visti domenica scorsa a Pieve Santo Stefano per il nostro Premio, ti ho dato i miei documenti sulla pacificazione tra gli italiani, credevo che tu li avessi visti e condivisi. Invece leggo oggi su “La Nazione” il tuo articolo retrivo e un po’ banale e scontato (ma scritto molto bene!), in cui si afferma che il ricordo e la pietà per le vittime “non deve tradire chi ha combattuto dalla parte della libertà”. E soprattutto guai ai “revisionismi falsificanti”!
Nulla di più falso si poteva dire!
I Partigiani hanno combattuto non tanto per la libertà quanto per la democrazia, per un pluripartitismo democratico (alcuni) o per un “soviet” similrusso (altri, i più decisi, i più crudeli, che per fortuna – o per Yalta!- non hanno vinto).
I Partigiani hanno “vinto”, (o meglio, hanno vinto gli Alleati!) e hanno iniziato, loro sì, una “storia falsificata” tutta da rivedere, amplificando meriti e azioni, quasi avessero loro liberato l’Italia! Ecco perché ora occorre un vero revisionismo scientifico, dove sia bandita per sempre l’ideologia e il mito. Altrimenti si vuole solo perpetuare l’odio del “vincitore” nei confronti del “vinto”.
La storia non può essere lasciata alla mercè degli ideologi, e men che meno agli storici ideologi che risentono delle necessità di consolidamento e di conservazione del potere dei “vincitori”. Quasi direi che, nei confronti della verità storica, sono più affidabili i “vinti”!.
Nessun “vincitore” ha mai detto o sostenuto che era “dalla parte sbagliata”. Allora, vince sempre la “parte giusta”? Se fosse così, dovremmo ammettere l’idea della esistenza di un Demiurgo della storia! In realtà non esiste una parte giusta e una sbagliata, ma una che vince e una che perde. La vera parte giusta è la buonafede individuale e di gruppo.
La storia è una scienza, con i propri elementi tipici di causa a effetto, e va trattata da storici scienziati. Soprattutto, non esiste un giudizio della storia, esiste un giudizio degli uomini, che purtroppo risente della ideologia di ciascuno. Per questo non deve essere mai dato alcun giudizio. Ha ragione Hegel quando dice che tutti, nella storia, hanno ragione contemporaneamente, purchè – dico io – svolgano ciascuno le proprie azioni in perfetta e cosciente buonafede. E’ triste che tu definisca non-storia e paradosso le sue affermazioni, perché ancora una volta ciò dimostra la tua “ideologia del vincitore” e nessuna volontà di pacificazione rendendo a ciascuno il meritato onore, che non è una ipocrita equiparazione o equivoca omologazione ma rispetto assoluto della buonafede e delle idee di chi morì per esse.
I Repubblicani seguaci della Repubblica Sociale Italiana, totalitaristi, anch’essi combattevano per la libertà, ma per una libertà della Patria dallo strangolamento commerciale impostoci dagli imperi francese e inglese, mentre non concepivano la libertà individuale se non temperata in una concezione totalitaria, delegando al Capo del Governo molte delle libertà inutili e dannose di cui usufruiamo noi. Ciascuno dei due contendenti ha uguale dignità e merita uguale ascolto e considerazione; sarà la concezione ideologica di ciascuno di noi a farci scegliere.
Nessuno ha mai dimostrato che la democrazia pluripartitica sia la migliore forma di governo. Certamente, laddove molti controllano, dovrebbe (ma le cosche, e le mafie?) esserci minore corruzione e maggiore libertà individuale, se meritata con comportamenti virtuosi. Certo, se la libertà per cui i Partigiani hanno combattuto e sono morti da eroi, è quella che abbiamo noi, di fare i propri porci comodi ammantandoci di democrazia, li abbiamo traditi terribilmente.
Tu citi Einaudi, Carlo Azeglio Ciampi, etc; ma cosa dovevano dire? Per “conservare” la propria posizione non potevano che dire: “la Resistenza è stata la conclusione del Risorgimento e la rinascita della Patria”. Peccato che le stesse cose le avesse già dette Mussolini, anni prima, sostituendo la parola “Fascismo” alla parola “Resistenza” !
Oggi, sulla via della pace, e nei 150 anni dell’Unità d’Italia, c’è solo da chiedere che ad ogni manifestazione, che ricordi e onori quanti si sono sacrificati da una parte e dall’altra, siano presenti le Delegazioni di ciascuna delle due parti. Sappiamo che l’Unione Nazionale Combattenti della Repubblica Sociale Italiana (U.N.C.R.S.I.) è pronta a intervenire – se invitata – e ad onorare i morti Partigiani. Non sappiamo se l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (A.N.P.I.) è ugualmente pronta. Lo speriamo vivamente, altrimenti stavolta vedremmo davvero quale è la parte giusta e quale la parte sbagliata.
Studiare le metodologie di pacificazione tra i contendenti dell'ultima drammatica fase della 2° Guerra Mondiale: la Repubblica Sociale Italiana e il Comitato di Liberazione Nazionale.
martedì 20 settembre 2011
SERGIO ZAVOLI - ARTICOLO E RISPOSTA DI FABIO UCCELLI
17 settembre 2011 SERGIO ZAVOLI:
L'odore del tempo - intervento - QN-Il Giorno-Il Resto del Carlino-La Nazione
Zavoli: Una comune volontà di Patria nasce dalla cura della memoria
Il 21 SETTEMBRE con la "battaglia di Rimini" e la conquista della città - cadeva così il caposaldo orientale della "Linea Gotica", l`altro era sul Tirreno all`altezza di Livorno - aveva inizio la fase finale della guerra sul fronte italiano. Quella battaglia costò un prezzo di sangue che ha parte dei suoi segni nel grande cimitero dei vincitori, disteso in un`enorme prato nei pressi di Coriano, l`epicentro dello scontro decisivo. Per poter condividere un unico "sì" alla pace, raccogliendoci in una comune riflessione, venne scelta quella semina di croci bianche, dove terrò il discorso del "ricordo" di tutta la gente sopravvissuta a un massacro che richiama l`immagine dolentissima, di Aurobindo, delle «farfalle posatesi dopo la battaglia, indifferentemente, sui vinti uccisi e i vincitori addormentati», riuniti dalla metafora della pietà. C`erano tutti i sindaci, una selva di tricolori traversi e di labari alzati in nome di un martirio venuto a consumarsi sulle colline che a raggiera declinano dolcemente verso Rimini, dove lo studioso Amedeo Montaggi colloca il collasso cruciale dell`armata tedesca. Non saremmo qui, si ripeté quel 25 aprile usando le parole di Einaudi, se un`interpretazione popolare e resistenziale della pace non fosse divenuta la premessa e la garanzia di tutte le libertà repubblicane sancite dalla Costituzione; nella quale riconosciamo il significato più alto della democrazia, regola fondante dei nostri ordinamenti. Carlo Azeglio Ciampi, ricordando i caduti militari e civili - da quelli di Cefalonia a quelli lasciati nelle valli, sulle montagne, dentro le città del nostro Paese - affermerà che la Resistenza era stata, insieme, «la conclusione del Risorgimento e la rinascita della Patria».
ED ERAVAMO in quel giorno, perché il presente aveva avuto, nel bene e nel male, quel passato.
Spentesi le ideologie, caduti i Muri, ci siamo responsabilmente dedicati alla ricerca, senza cadere in "revisioni falsificanti", di una credibile pacificazione. In un ritrovato sentimento di cittadinanza dovevano rinascere grandi valori condivisi: della
pace, della libertà, della giustizia, dei diritti spettanti al lavoro, all`intelletto e allo spirito, profano e religioso che fosse; bisognava liberarsi
dalla "terra dei morti", com`era l`Italia, per il poeta Lamartine, prima del Risorgimento, e per farlo non valeva la politica dei sepolcri: ne occorreva un`altra, capace di tener desta una memoria che accreditasse l`identità di un Paese intero, interpretandone la molteplicità culturale,
civile, etica.
In anni cruciali, quell`identità ne divenne l`atto, insieme, testimoniale e sacrificale. Conservarne l`ammonimento esigeva che non si restasse prigionieri di
ormai logore, fuorvianti barriere ideologiche, ma neppure che si volesse un`ipocrita equiparazione di ogni cosa - al venire di ogni 25 aprile - per contare i superstiti
dell`irriducibilità.
Non, dunque, l`equivoca omologazione di principi e di fedi reclamata nel nome sacro del sangue versato da una parte e dall`altra, ma la distinzione del fatale, ineludibile confine di una tragedia che vide consumarsi lo scontro tra due cause inconciliabili. Credo che nessuno, oggi, vorrebbe rifugiarsi nel sommario e liquidatorio invito hegeliano a credere che «tutti, per la storia, hanno
ragione contemporaneamente». E un paradosso filosofico, estraneo alla natura della storia stessa. Anzi, è la non-storia, pur sembrandone il massimo dell`autenticazione.
EMBLEMATICO a tale proposito è l`incontro, a Boves, tra cittadini di quel luogo martire - medaglia d`oro
della Resistenza, sede della famosa "Scuola di pace" - e una rappresentanza del popolo tedesco venuta a testimoniare, con quello che viene chiamato il "pellegrinaggio del perdono", una reale volontà di emendamento: un atto di altezza civile emozionante
e severa, per testimoniare che cosa significa una "riconciliazione" cui non poteva restare estraneo,
in una lettura anche cristiana della storia, il proposito di comprendere i perché delle scelte compiute, negli anni tra l`adolescenza e la giovinezza, «dalla parte sbagliata», come scrive Carlo Mazzantini, allora giovane aderente alla Repubblica Sociale, in un libro diventato
famoso, "C`eravamo tanto odiati", scritto a quattro mani con il comandante partigiano Rosario Bentivegna. Non deve costare nulla il convenire, con Mazzantini, che a quell`età «si può prendere la strada sbagliata per nobili ragioni». Ed è superfluo insistere sulla fin troppo risonante saggezza secondo la quale nella vita di un uomo, e figuriamoci di un popolo, c`è un passato che non è mai passato del tutto. Ecco perché il rinnovare la memoria di
ciò che fu un grande bene riconquistato, per ciascuno e per tutti, avrà il suo pregio maggiore nel riviverla
non attraverso cataloghi di genere archivistico, toni celebrativi o, peggio, rivalse e rancori reciproci, ma
nel metterci al servizio della realtà secondo i termini equi e indissolubili della ragione e della coscienza.
Non si esce indenni - di fronte alla Storia, ma neppure davanti a Dio e a noi stessi - da una tragedia come quella. Ecco perché occorre misurare la memoria con il metro della realtà, non neutrale e neppure fazioso,
suscitando e addirittura generando l`unico modo di tenere insieme,per dir così, l`animo e il corpo di una così lacerante questione. La Repubblica, d`altronde, è garante
di tutto quanto si riassume nell`unica Patria di cui è madre; non nelle tante, piccole patrie che pure rispettiamo e amiamo, ma che non devono scomporre, come si vorrebbe, l`unità del Paese a lungo sognata e finalmente raggiunta.
LA RICOSTRUZIONE di un Paese devastato dalla guerra che l`aveva percorso dalla Sicilia al Po ci pare oggi un miracolo di coraggio, unità e concordia. Dovremmo essere capaci di rinnovarlo, superando i gretti egoismi in cui siamo avviluppati mentre va rimesso in moto un Paese fermo e frastornato.
C`è un`eredità morale e politica lasciata da quanti hanno affrontato, tra "la luna e i falò", una tragica notte,
decisi a vedere l`alba.
Non è necessario, in un senso o nell`altro, enfatizzare, declamare, proclamare. È sufficiente una pacata, lucida, comune volontà di pace, civile e sociale, fatta di lavoro, di equità, di certezze. Specie per i giovani, perché non si affaccino sul futuro con la sola sicurezza di doverci
vivere.
L`uomo, dice un`antica sapienza, è la conseguenza di ciò che pensa.
NOI PENSIAMO, e lo ripetemmo di fronte a chi - in un camposanto ospitale come un giardino, ma di più, come una casa - è ormai affiliato alla nostra gente, che quei giovani uomini vennero a morire qui da storie diverse, ma rimasti uguali per generosità, consapevolezza e coraggio.
Tre virtù, allora, da spendere e condividere sulla via della pace, di casa in casa, di valle in valle, di
paese in paese, di città in città. Ciò che oggi attraversa quel solo luogo che si chiama nazione, è una realtà difficile, che non rispecchia tutte le sue premesse, ma a maggior motivo quella ricchezza andrà ritrovata nel
ricordo di una storia che, ben più grave dei suoi aspetti odierni, avrebbe davvero potuto travolgerci. Purché
patria, anche con la minuscola, non sembri un modo di dire.
L'odore del tempo - intervento - QN-Il Giorno-Il Resto del Carlino-La Nazione
Zavoli: Una comune volontà di Patria nasce dalla cura della memoria
Il 21 SETTEMBRE con la "battaglia di Rimini" e la conquista della città - cadeva così il caposaldo orientale della "Linea Gotica", l`altro era sul Tirreno all`altezza di Livorno - aveva inizio la fase finale della guerra sul fronte italiano. Quella battaglia costò un prezzo di sangue che ha parte dei suoi segni nel grande cimitero dei vincitori, disteso in un`enorme prato nei pressi di Coriano, l`epicentro dello scontro decisivo. Per poter condividere un unico "sì" alla pace, raccogliendoci in una comune riflessione, venne scelta quella semina di croci bianche, dove terrò il discorso del "ricordo" di tutta la gente sopravvissuta a un massacro che richiama l`immagine dolentissima, di Aurobindo, delle «farfalle posatesi dopo la battaglia, indifferentemente, sui vinti uccisi e i vincitori addormentati», riuniti dalla metafora della pietà. C`erano tutti i sindaci, una selva di tricolori traversi e di labari alzati in nome di un martirio venuto a consumarsi sulle colline che a raggiera declinano dolcemente verso Rimini, dove lo studioso Amedeo Montaggi colloca il collasso cruciale dell`armata tedesca. Non saremmo qui, si ripeté quel 25 aprile usando le parole di Einaudi, se un`interpretazione popolare e resistenziale della pace non fosse divenuta la premessa e la garanzia di tutte le libertà repubblicane sancite dalla Costituzione; nella quale riconosciamo il significato più alto della democrazia, regola fondante dei nostri ordinamenti. Carlo Azeglio Ciampi, ricordando i caduti militari e civili - da quelli di Cefalonia a quelli lasciati nelle valli, sulle montagne, dentro le città del nostro Paese - affermerà che la Resistenza era stata, insieme, «la conclusione del Risorgimento e la rinascita della Patria».
ED ERAVAMO in quel giorno, perché il presente aveva avuto, nel bene e nel male, quel passato.
Spentesi le ideologie, caduti i Muri, ci siamo responsabilmente dedicati alla ricerca, senza cadere in "revisioni falsificanti", di una credibile pacificazione. In un ritrovato sentimento di cittadinanza dovevano rinascere grandi valori condivisi: della
pace, della libertà, della giustizia, dei diritti spettanti al lavoro, all`intelletto e allo spirito, profano e religioso che fosse; bisognava liberarsi
dalla "terra dei morti", com`era l`Italia, per il poeta Lamartine, prima del Risorgimento, e per farlo non valeva la politica dei sepolcri: ne occorreva un`altra, capace di tener desta una memoria che accreditasse l`identità di un Paese intero, interpretandone la molteplicità culturale,
civile, etica.
In anni cruciali, quell`identità ne divenne l`atto, insieme, testimoniale e sacrificale. Conservarne l`ammonimento esigeva che non si restasse prigionieri di
ormai logore, fuorvianti barriere ideologiche, ma neppure che si volesse un`ipocrita equiparazione di ogni cosa - al venire di ogni 25 aprile - per contare i superstiti
dell`irriducibilità.
Non, dunque, l`equivoca omologazione di principi e di fedi reclamata nel nome sacro del sangue versato da una parte e dall`altra, ma la distinzione del fatale, ineludibile confine di una tragedia che vide consumarsi lo scontro tra due cause inconciliabili. Credo che nessuno, oggi, vorrebbe rifugiarsi nel sommario e liquidatorio invito hegeliano a credere che «tutti, per la storia, hanno
ragione contemporaneamente». E un paradosso filosofico, estraneo alla natura della storia stessa. Anzi, è la non-storia, pur sembrandone il massimo dell`autenticazione.
EMBLEMATICO a tale proposito è l`incontro, a Boves, tra cittadini di quel luogo martire - medaglia d`oro
della Resistenza, sede della famosa "Scuola di pace" - e una rappresentanza del popolo tedesco venuta a testimoniare, con quello che viene chiamato il "pellegrinaggio del perdono", una reale volontà di emendamento: un atto di altezza civile emozionante
e severa, per testimoniare che cosa significa una "riconciliazione" cui non poteva restare estraneo,
in una lettura anche cristiana della storia, il proposito di comprendere i perché delle scelte compiute, negli anni tra l`adolescenza e la giovinezza, «dalla parte sbagliata», come scrive Carlo Mazzantini, allora giovane aderente alla Repubblica Sociale, in un libro diventato
famoso, "C`eravamo tanto odiati", scritto a quattro mani con il comandante partigiano Rosario Bentivegna. Non deve costare nulla il convenire, con Mazzantini, che a quell`età «si può prendere la strada sbagliata per nobili ragioni». Ed è superfluo insistere sulla fin troppo risonante saggezza secondo la quale nella vita di un uomo, e figuriamoci di un popolo, c`è un passato che non è mai passato del tutto. Ecco perché il rinnovare la memoria di
ciò che fu un grande bene riconquistato, per ciascuno e per tutti, avrà il suo pregio maggiore nel riviverla
non attraverso cataloghi di genere archivistico, toni celebrativi o, peggio, rivalse e rancori reciproci, ma
nel metterci al servizio della realtà secondo i termini equi e indissolubili della ragione e della coscienza.
Non si esce indenni - di fronte alla Storia, ma neppure davanti a Dio e a noi stessi - da una tragedia come quella. Ecco perché occorre misurare la memoria con il metro della realtà, non neutrale e neppure fazioso,
suscitando e addirittura generando l`unico modo di tenere insieme,per dir così, l`animo e il corpo di una così lacerante questione. La Repubblica, d`altronde, è garante
di tutto quanto si riassume nell`unica Patria di cui è madre; non nelle tante, piccole patrie che pure rispettiamo e amiamo, ma che non devono scomporre, come si vorrebbe, l`unità del Paese a lungo sognata e finalmente raggiunta.
LA RICOSTRUZIONE di un Paese devastato dalla guerra che l`aveva percorso dalla Sicilia al Po ci pare oggi un miracolo di coraggio, unità e concordia. Dovremmo essere capaci di rinnovarlo, superando i gretti egoismi in cui siamo avviluppati mentre va rimesso in moto un Paese fermo e frastornato.
C`è un`eredità morale e politica lasciata da quanti hanno affrontato, tra "la luna e i falò", una tragica notte,
decisi a vedere l`alba.
Non è necessario, in un senso o nell`altro, enfatizzare, declamare, proclamare. È sufficiente una pacata, lucida, comune volontà di pace, civile e sociale, fatta di lavoro, di equità, di certezze. Specie per i giovani, perché non si affaccino sul futuro con la sola sicurezza di doverci
vivere.
L`uomo, dice un`antica sapienza, è la conseguenza di ciò che pensa.
NOI PENSIAMO, e lo ripetemmo di fronte a chi - in un camposanto ospitale come un giardino, ma di più, come una casa - è ormai affiliato alla nostra gente, che quei giovani uomini vennero a morire qui da storie diverse, ma rimasti uguali per generosità, consapevolezza e coraggio.
Tre virtù, allora, da spendere e condividere sulla via della pace, di casa in casa, di valle in valle, di
paese in paese, di città in città. Ciò che oggi attraversa quel solo luogo che si chiama nazione, è una realtà difficile, che non rispecchia tutte le sue premesse, ma a maggior motivo quella ricchezza andrà ritrovata nel
ricordo di una storia che, ben più grave dei suoi aspetti odierni, avrebbe davvero potuto travolgerci. Purché
patria, anche con la minuscola, non sembri un modo di dire.
martedì 30 agosto 2011
25 APRILE - LETTERA A BERLUSCONI
Caro Presidente Berlusconi
forse, per la prima volta, Ella presenzierà alle manifestazioni del 25 Aprile.
Poichè nulle di ciò che fa è casuale e senza senso, La prego di spendere una parola di pacificazione tra i due contendenti italiani dell'ultima parte della guerra.
Oggi l'A.N.P.I. va fiera della memoria e del culto di tanti martiri partigiani ma dimentica l'assassinio senza processo di Mussolini e i molti assassinii compiuti nel dopoguerra fino al 1947.
La Costituzione attuale è figlia della Resistenza, ma non solo: non dobbiamo dimenticare che la liberazione dal totalitarismo fu compiuta dagli Alleati e dalle loro migliaia di morti in Italia.
Oggi l'Unione dei Combattenti della Repubblica Sociale Italiana va fiera dei propri ideali, del ripudio del tradimento badogliano, della salvaguardia dell'onore e della italianità in quel periodo, e sa che da tempo è avvenuta la tanto auspicata caduta degli imperi coloniali anglo-francesi del Mediterraneo che strangolava l'economia ed i commerci italiani, nonchè la caduta del Comunismo.
Ma, anche se i Combattenti RSI hanno combattuto per questo, ciò non è accaduto per loro diretto intervento. Devono riconoscerlo.
Ciò che ora è importante per l'Italia è la pacificazione. E che ciascuno rispetti e onori i morti dell'altro, nel mutuo reciproco riconoscimento della buonafede che animò il loro martiro.
Per questo Le chiedo, Signor Presidente, di fare in modo che partecipino a tutte le manifestazioni ambedue le Rappresentanze,l'ANPI e l'UNCRSI, ciascuna con i propri simboli e le proprie bandiere, che fanno parte tutte della storia d'Italia.
forse, per la prima volta, Ella presenzierà alle manifestazioni del 25 Aprile.
Poichè nulle di ciò che fa è casuale e senza senso, La prego di spendere una parola di pacificazione tra i due contendenti italiani dell'ultima parte della guerra.
Oggi l'A.N.P.I. va fiera della memoria e del culto di tanti martiri partigiani ma dimentica l'assassinio senza processo di Mussolini e i molti assassinii compiuti nel dopoguerra fino al 1947.
La Costituzione attuale è figlia della Resistenza, ma non solo: non dobbiamo dimenticare che la liberazione dal totalitarismo fu compiuta dagli Alleati e dalle loro migliaia di morti in Italia.
Oggi l'Unione dei Combattenti della Repubblica Sociale Italiana va fiera dei propri ideali, del ripudio del tradimento badogliano, della salvaguardia dell'onore e della italianità in quel periodo, e sa che da tempo è avvenuta la tanto auspicata caduta degli imperi coloniali anglo-francesi del Mediterraneo che strangolava l'economia ed i commerci italiani, nonchè la caduta del Comunismo.
Ma, anche se i Combattenti RSI hanno combattuto per questo, ciò non è accaduto per loro diretto intervento. Devono riconoscerlo.
Ciò che ora è importante per l'Italia è la pacificazione. E che ciascuno rispetti e onori i morti dell'altro, nel mutuo reciproco riconoscimento della buonafede che animò il loro martiro.
Per questo Le chiedo, Signor Presidente, di fare in modo che partecipino a tutte le manifestazioni ambedue le Rappresentanze,l'ANPI e l'UNCRSI, ciascuna con i propri simboli e le proprie bandiere, che fanno parte tutte della storia d'Italia.
Fabio Uccelli
sabato 20 agosto 2011
UCCELLI - LETTERA A NAPOLITANO PER 150° UNITA' D'ITALIA
Prof. Ing. FABIO UCCELLI
DOCENTE NELL’UNIVERSITA’ DI PISA
Via XX Settembre, 162 - 19100 LA SPEZIA
Tel. 0187-739883 Cell. 389-6741070
Gent.mo Dr. Giorgio NAPOLITANO - Presidente della Repubblica
A.N.P.I. – Associazione Naz. Partigiani d’Italia
U.N.C.R.S.I. - Unione Naz. Combattenti Repubblica Sociale Italiana
LORO SEDI
Nel 150° anno dell’unità d’Italia, nella suprema intenzione di contribuire alla pacificazione del popolo italiano che ancora soffre della storia dilaniata nella finale drammatica fase dell’ultimo conflitto mondiale, mi rivolgo a Lei, Presidente Napoletano, quale persona di estremo equilibrio e di grande autorevolezza, perché inviti i rappresentanti dei superstiti belligeranti italiani ad un diverso atteggiamento, meno ideologizzato e più storicizzato, che tenga conto della buonafede e dell’eroismo di coloro che non esitarono a dare la vita per la propria idea di patria comune.
L’A.N.P.I. e l’ U.N.C.R.S.I devono essere, in un convinto atteggiamento di unità e di pace, pronti a deporre e cessare ogni odio ideologico.
Grandi furono da ambo le parti le angherie e le nefandezze compiute, grandi furono gli ideali che videro il Comitato di Liberazione Nazionale (oggi rappresentato dall’A.N.P.I.) - sulla scia della vittoria degli Eserciti Alleati - contribuire alla realizzazione della nostra democrazia e della attuale Costituzione, e che videro i Combattenti della Repubblica Sociale Italiana (oggi rappresentati dall’U.N.C.R.S.I.), proporsi quali custodi della fedeltà alla parola data all’alleato germanico e ad un loro ideale repubblicano, sociale e totalitario.
E’ tempo ormai, dopo 65 anni, che ognuno dei contendenti renda onore ai Caduti dell’altro, in un clima di comprensione e rispetto (anche se non di condivisione) per la buonafede di ciascuno, sia a livello individuale che di struttura di appartenenza.
Per questo, chiedo che ad ogni manifestazione indetta per il ricordo del sacrificio eroico di tanti italiani, sia sempre invitata e quindi presente una Delegazione di ognuna delle due parti.
Solo in questo modo potrà dirsi compiuta e ritrovata l’unità d’Italia, in questo 150° anno di storia magnifica e tragica del nostro Paese.
Con gli auguri più fervidi che quanto sopra sia accolto,
(Fabio Uccelli) La Spezia , 15/08/11
martedì 3 maggio 2011
IL DIRITTO INTERNAZIONALE E LA VERITA' STORICA
IL DIRITTO INTERNAZIONALE E LA VERITA’ STORICA
Ai fini del ristabilimento della verità storica e della pacificazione tra Stati che furono in guerra tra loro, o tra popoli o parti politiche che si fronteggiarono in armi, appare sempre più importante puntualizzare alcuni argomenti che spesso vengono “oscurati” da presunte verità storiche propugnate a tutti dai vincitori delle guerre o da partiti politici interessati a conservare il consenso.
Quando inizia una guerra, il diritto internazionale prevede che venga fatta e presentata dai rispettivi ambasciatori una dichiarazione formale di guerra, per avvertire i governi e i popoli del mutamento di uno status pacifico tra due o più nazioni.
Non ricordiamo se Hitler prima dell’attacco alla Polonia abbia fatto ciò. Sicuramente - al di là di presunti ritardi dovuti al fuso orario - i giapponesi attaccarono Pearl Harbour senza che ciò fosse noto al governo e al popolo degli Stati Uniti, per sfruttare la sorpresa e distruggere una notevole parte della flotta statunitense.
Allo stesso modo, quando un belligerante intende uscire da una guerra e chiedere un armistizio al nemico, il diritto internazionale prevede che siano avvertiti gli eventuali alleati, allo scopo di far modificare il loro comportamento nei confronti del belligerante e dei nemici.
Analizziamo il comportamento di alcuni Stati nell’ultimo conflitto mondiale.
Subito dopo l’aggressione di Hitler alla Polonia (giustificata - secondo lui - dall’esistenza di numerose aree di lingua tedesca che da anni attendevano di essere riunificate alla madre patria) l’Inghilterra e la Francia (legate da un Patto di solidarietà alla Polonia) dichiararono guerra alla Germania, e neppure Mussolini riuscì stavolta ad evitarlo. D’altronde, l’anno dopo lo avrebbe fatto anche lui.
La Francia ben presto venne occupata militarmente, e il suo Governo chiese e ottenne l’armistizio. Ma poi dovette dare le dimissioni, perché Hitler non tollerava certo di avere in Francia lo stesso Governo che gli aveva dichiarato guerra. Il nuovo Governo, con sede a Vichy, (sicuramente, un Governo fantoccio, collaborazionista, agli ordini dei tedeschi, che vedeva il Maresciallo Petain alla Presidenza della Repubblica, e Mr. Pierre Laval Primo Ministro) era in ogni caso necessario per organizzare quel poco di autonomia dal duro tallone tedesco che i francesi potevano permettersi. Ma non era un Governo legittimo, perché non espressione del popolo e del Parlamento francese, ed era nato dopo l’invasione della Francia e la sconfitta. Mentre invece, il Generale De Gaulle organizzava un Governo in esilio e un esercito di liberazione, quello stesso che qualche anno dopo sarebbe entrato a Parigi con la truppe alleate sbarcate in Normandia. Naturalmente, in Francia si organizzò la resistenza ai tedeschi, in attesa della liberazione. Uno dei capi più attivi fu Chaban Delmas che agì molto in Parigi e nei famosi sotterranei sotto la città.
I resistenti francesi, quali “soldati” sul territorio francese del Governo in esilio del Gen. De Gaulle, potevano usufruire della posizione di “belligeranti”, e non erano renitenti alla leva perché non fu organizzato nessun richiamo alle armi obbligatorio dal Governo fantoccio. Questo permetteva loro di evitare la fucilazione immediata se catturati, anche se, certo, non potevano evitare terribili torture e la condanna a morte se non denunciavano i loro compagni.
I capi del Governo fantoccio furono in seguito processati per alto tradimento e condannati a morte dal Governo del Generale De Gaulle. Non sfuggì neppure il vecchio Maresciallo Petain, gloria della Francia nella prima Guerra Mondiale.
Ben diversa la posizione dell’Italia. Lo Stato italiano aveva stretto con la Germania un “Patto d’acciaio” che la impegnava a entrare in guerra a fianco della Germania nel caso che questa avesse avuto dichiarazioni di guerra. Il Patto, molto contrastato dagli ambienti italiani più antitedeschi (che facevano capo a Ciano) fu voluto essenzialmente da Mussolini e convalidato dal Re Vittorio Emanuele III°. Probabilmente i motivi che avevano influito erano nell’aiuto dato dalla Germania al tempo delle sanzioni economiche imposte da Francia e Inghilterra per la politica imperiale italiana.
Ma Mussolini, per non trascinare subito l’Italia - non preparata - in guerra, inventò la formula della “non belligeranza” all’interno del Patto. Riuscì a mantenersi così fino al Giugno 1940. Ma poi, visto che la Germania aveva conquistato tutta l’Europa, nella paura di restare fuori dal tavolo della pace, sperando in un massimo di sei mesi di guerra, si decise (col consenso del Re) ad entrare in guerra, malgrado la scarsa preparazione.
La guerra andò ben al di là dei sei mesi, e dopo un periodo di vittorie tedesche, gravi errori quali l’attacco alla Grecia e alla Russia tolsero risorse all’impresa africana che si arrestò a pochi chilometri da Alessandria d’Egitto. La sottovalutazione degli Stati Uniti d’America, nel frattempo entrati in guerra a fianco dell’Inghilterra, fece il resto.
Si arrivò così alla invasione dell’Italia da parte degli eserciti alleati. I tedeschi inviarono alcune forze in Italia, per aiutare l’esercito italiano ormai malmesso (in Tunisia aveva perso stupidamente 300.000 uomini presi prigionieri!).
Il 25 Luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascismo sfiduciò Mussolini (forse un accordo col Re propiziato da Grandi con la mediazione di Acquarone, Ministro della Real Casa). Mussolini, andato il giorno dopo a Villa Savoia a presentare le dimissioni, fu inopinatamente arrestato e tolto di mezzo, mentre l’alleato tedesco fu rabbonito con l’impegno “…..la guerra continua…” del Maresciallo Badoglio, divenuto nel frattempo Primo Ministro al posto del Duce.
Ma l’8 Settembre 1943, ancora inopinatamente e inaspettatamente, senza avvertire l’alleato tedesco, Badoglio annunciò l’armistizio, disse alle truppe di reagire agli attacchi “…da qualunque parte vengano…” - ma solo i tedeschi potevano attaccare gli italiani, ormai da loro considerati infami traditori! - e fuggì col Re a Brindisi, dando vita al “Governo del Sud”, che ovviamente non poteva avere giurisdizione sul Nord Italia, nel frattempo occupato dai tedeschi.
In questa situazione, con l’Italia quasi interamente occupata dai tedeschi che nel frattempo erano scesi in forze, era naturale che si formasse un Governo del Nord, col duplice scopo di salvare l’onore italiano compromesso dal comportamento del Governo Badoglio e rendere autonomia - per quel che era possibile - al popolo italiano da Cassino alle Alpi, evitando anche certi atteggiamenti dei tedeschi alleati (ma furenti) che tendevano ad annettere parti di Italia e a trasferire in Germania parte dell’Industria italiana.
Nacque così la Repubblica Sociale Italiana. La RSI fu riconosciuta da 10-15 stati, cioè, ovviamente, dagli Stati alleati della Germania. Recentemente, Pertini riconobbe nel 1978 la qualifica di belligeranti e la pensione di guerra agli appartenenti alla RSI, e la Corte Costituzionale ha fatto di recente una importante distinzione tra chi era provvisto di divisa e chi no.
La necessità della sua costituzione fu dovuta al fatto di non dover lasciare ai tedeschi il ruolo di “forze occupanti” (con tutti i terribili risvolti che si sarebbero avuti, dopo il “tradimento”) di una zona vastissima d’Italia che andava da Cassino alle Alpi, ma ricondurli ad alleati, in un Paese ove la sovranità era del popolo tramite la RSI. Senza contare i numerosi uomini (600-700.000) che volevano continuare la guerra a fianco dei tedeschi che con la RSI avrebbero avuto una divisa e una bandiera italiana, sia pur non più sormontata dallo stemma di Casa Savoia, ma dal Fascio repubblicano.
Ma i motivi di legittimità della RSI più forti risiedono nel fatto che , fino all’8 Settembre 43, il Governo (e la Monarchia) erano stati alleati della Germania e avevano stretto prima il Patto d’acciaio e poi aderito all’Asse Roma-Berlino, per cui, la presenza della Wermacht in Italia, non era da occupante, ma da alleata, per contrastare l’avanzata degli Angloamericani. Non certo bastò il “tradimento” di Badoglio e del Re per mutare lo status della presenza germanica, anche perché, appunto, rinacque quasi subito la RSI quale governo alleato dei tedeschi, che continuava “davvero” la guerra con loro.
Questa situazione era ben diversa da quella del governo francese di Vichy (collaborazionista), perché la Francia aveva combattuto la Germania ed era stata veramente occupata. Stessa situazione per i governi-fantoccio di Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia etc.
La RSI fu fortemente voluta da alcuni gerarchi fascisti (Pavolini, etc) e molto meno - sembra - da Mussolini, desideroso di ritirarsi dalla vita politica. Ma Hitler - suo cattivo genio - glielo impedì in ogni modo.
Purtroppo, come avveniva in guerra in tutti gli Stati, la RSI fece un bando obbligatorio di chiamata alle armi, e non si contentò della Decima Mas che era una formazione volontaria.
Questo determinò una forte renitenza alla leva da parte di tantissimi giovani che non si sentivano più motivati nel continuare la guerra a fianco dei tedeschi.
Per i renitenti è sempre stata prevista la fucilazione immediata, senza processo, col solo accertamento delle generalità. Nello specifico caso c’era anche l’accusa di tradimento, dato che erano sbandati ed ex-appartenenti all’esercito italiano di cui Badoglio era stato l’ultimo comandante.
Ed ecco che i renitenti, sulle montagne, si trasformarono in partigiani capeggiati da politici che non volevano più il totalitarismo nazifascista pensando ad una Italia democratica, e altri politici invece che lo volevano trasformare in totalitarismo comunista.
I partigiani fecero numerose azioni di guerra, ma non avevano nessuna divisa, né erano da considerarsi “belligeranti” perché non facevano capo al Governo del Sud (che nel frattempo aveva dichiarato guerra alla Germania).
I politici responsabili avevano formato un CLN - COMITATO DI LIBERAZIONE NAZIONALE (autocefalo e senza legittimità formale di alcun genere) che non voleva aver nessun contatto col Governo del Sud e con la Monarchia, ritenuta troppo compromessa in passato col fascismo e da eliminare. Anche per questo i partigiani, renitenti alla leva della RSI, non “belligeranti”, e non provvisti di divisa, non potevano che essere fucilati immediatamente, se catturati.
I tedeschi reagirono con feroci rappresaglie (10 italiani uccisi per ogni tedesco) e con stragi.
Ma, al di là di ogni retorica “resistenziale” , le forze in gioco erano tali che la liberazione d’Italia si deve ai 600-700.000 morti degli eserciti alleati, e non certo ai 30.000 - 50.000 eroi partigiani, di cui, peraltro, va salvata la buona fede e l’ideale di libertà propugnati, che hanno dato vita alla nostra Repubblica, tramite la Assemblea Costituente, e alla democrazia nel nostro Paese.
Il 26/27 Aprile 1945 veniva assassinato Benito Mussolini, Claretta Petacci, l’intero Governo della Repubblica Sociale Italiana, senza processo, solo su “condanna in nome del popolo italiano” del Comitato di Liberazione Nazionale.
Dato che non c’è prescrizione per i reati di tortura e uccisione su civili e militari prigionieri di guerra, la Procure Militari della Repubblica dovranno aprire finalmente il processo di accertamento delle responsabilità e di condanna - anche post mortem - dei responsabili..
Non c’è dubbio che sono imputati tutti i Membri del CLN nazionale.
La condanna fu essenzialmente voluta dai Membri dei partiti di sinistra, ma non risulta che - pur dissociandosi - gli altri rappresentanti dei partiti si siano dimessi dal CLN lasciando la intera responsabilità agli altri.
venerdì 29 aprile 2011
II° LETTERA A RENDINA PRESIDENTE A.N.P.I. - MA PER L'IMBARAZZO NON RISPOSE NEANCHE A QUESTA
Prof. Ing. FABIO UCCELLI
DOCENTE NELL’UNIVERSITA’ DI PISA
Via XX Settembre, 162 - 19100 LA SPEZIA
Tel. 0187-739883 Cell. 389-6741070
Gent.mo Dr. Massimo RENDINA
PRESIDENTE A.N.P.I.
Caro Massimo,
ho atteso a lungo la tua risposta alla mia lettera, e attendo ancora.
Ritengo tale risposta molto importante per confrontare i temi trattati, oggi che sempre di più si parla di pacificazione nazionale. Avrei voluto sapere se nella mia interpretazione dei fatti storici c’era tra noi sostanziale convergenza o c’erano errori di valutazione che la impedivano. La creazione di una storia condivisa impone di accettare e non rifiutare il ruolo svolto dai contendenti della guerra civile, cercare di capirlo a fondo, anche per metterne in luce le caratteristiche, la buona fede, e gli errori, per non più ripeterli.
Siamo vicini al 25 Aprile e a numerose manifestazioni di rievocazione.
Vorrei significarti che l’ANPI svolge un ruolo importantissimo perché la memoria di tanti eccidi compiuti essenzialmente dai tedeschi, e di tante morti eroiche di Partigiani non sia dimenticata, e questo non viene messo in dubbio da nessuno.
Però oggi si impone un nuovo clima, di riconciliazione e di pacificazione.
Oggi che sono al Governo con Berlusconi i Fascisti Repubblicani (chiamiamoli col loro vero nome, in omaggio alla loro fede, mai rinnegata ma parzialmente modificata) vorrei farti notare che in ogni caso essi hanno accettato la sconfitta del totalitarismo portata soprattutto dalla vittoria degli Alleati, e hanno dichiarato ripetutamente di aver completamente abbracciato l’idea democratica, e non solo, ma hanno riconosciuto nella Resistenza l’unica nascita di un movimento italiano che ha portato alla nostra attuale Costituzione. Tutto questo viene riconosciuto anche dalle Associazioni Combattentistiche dei Reduci della RSI.
Per questo, sono convinto che la stesse Associazioni dei Reduci RSI non avrebbero difficoltà – se invitate - a venire a rendere omaggio alle manifestazioni della Resistenza e all’omaggio ai cippi che rievocano i Partigiani che hanno perso la vita in azioni di guerra o sono stati giustiziati.
E sarebbe molto bello vedere gli onori resi loro dagli antichi nemici!
Certo, purchè poi la Resistenza accettasse reciprocamente di rendere omaggio ai tanti fascisti repubblicani e antecedenti uccisi, riconoscendone la buona fede e la fedeltà ad un onore di patria e alla parola data all’alleato. Questo auspico, per il bene della nostra amata Italia.
Se ciò non avverrà, ti assumerai la responsabilità di continuare a dividere le coscienze in maniera esclusivamente ideologica e non potrai sottrarti all’accusa di essere il solo fomentatore di odio – assieme agli estremismi della sinistra e della destra - ormai rimasto in Italia.
Solo nel modo suindicato, la Resistenza continuerà a vivere, e con lei il 25 Aprile.
Cordiali saluti - Fabio UCCELLI – La Spezia , 05/04/09
UCCELLI : RISPOSTA A RENDINA PRESID. A.N.P.I. - MA LUI NON RISPOSE MAI
LETTERA A MASSIMO RENDINA PRESIDENTE A.N.P.I.
Caro Massimo,
Ti ringrazio per la pronta risposta ai miei auguri.
Ti ringrazio per la pronta risposta ai miei auguri.
Dovremo però confrontarci su molti argomenti, che in seguito elencherò.
Ma prima dobbiamo intenderci sul concetto di “storia”. Per me e per gli scienziati della storia, la storia è il risultato di un confronto, che poi diviene scontro, tra elementi scatenanti divenuti ormai conflittuali di ideologia economica, etica, religiosa, politica, di potere, etc, voluto da rappresentanti di popoli (organizzati in Stati o in gruppi di Stati), che , dopo la affermazione (vittoria) di una parte dei partecipanti allo scontro, determina eventi storici continuati generati e poi composti dall’insieme dei singoli fatti effettivamente accaduti.
Però, una volta accaduti, i fatti che compongono gli eventi possono essere analizzati dal punto di vista del singolo elemento scatenante solo se si tiene conto con assoluta pariteticità di tutti i valori e concetti contenuti ed affermati da ognuno dei contendenti.
I fatti singoli, e in seguito gli eventi, vanno analizzati scientificamente, nel loro concatenamento di causa a effetto. E’ assolutamente proibito al vero scienziato della storia ogni giudizio sulla medesima e sugli eventi e fatti che la compongono, perche’ ogni giudizio può essere solo ideologico, solo elaborato in base alla propria ideologia. Siccome sempre avviene che il giudizio
I fatti singoli, e in seguito gli eventi, vanno analizzati scientificamente, nel loro concatenamento di causa a effetto. E’ assolutamente proibito al vero scienziato della storia ogni giudizio sulla medesima e sugli eventi e fatti che la compongono, perche’ ogni giudizio può essere solo ideologico, solo elaborato in base alla propria ideologia. Siccome sempre avviene che il giudizio
lo da chi vince, cioè chi rimane in gioco, che spesso toglie e nega la parola agli sconfitti, ne deriva che a lungo andare, negli anni, viene parzialmente e volutamente distorta anche la verità dei fatti avvenuti.
Ora, è giusto che ognuno abbia una propria ideologia e che giudichi soggettivamente la storia, ma su fatti univoci e unanimemente e scientificamente condivisi. Ed è giusto anche che esistano quelli che io chiamo “Professori di Ideologia della Storia” per elaborare orientamenti da fornire a chi non ha tempo e voglia di riflettere, purchè non si definiscano “Professori di Storia Contemporanea” e non gabellino per verità assolutamente condivisa ciò che dicono, ma avvertano gli interessati che il loro orientamento proviene da un giudizio formato in ambienti di destra o di sinistra o altro, magari motivandone la natura e i perche’.
L’indagine scientifica di un fenomeno storico non consente né tollera giudizi ideologici. Però ciascuno, o ciascun gruppo o partito di omogenea ideologia, può dare il suo giudizio ideologico, e presentare – giustamente – la propria interpretazione del fenomeno Ed è sommamente giusto che sia lasciata a ciascuno la propria ideologia e la libertà di mutarla o arricchirla con nuove conoscenze.
.
Ecco perché non esiste il revisionismo. E’ solo parola coniata da ideologi che hanno paura di completare la propria conoscenza dei fatti e quindi eventualmente rivedere le motivazioni generali, perché temono che da ciò ne derivi una perdita di autorità morale, di potere, di adepti .
1 - vorrei premettere che io avevo 10 - 12 anni nel periodo esaminato. Ho conosciuto tanti "attori" di quel periodo (militari tedeschi, SS, militi delle Brigate Nere, partigiani, etc), io ero solo uno "spettatore" (per fortuna!), ma molto precoce (ho imparato a leggere a 3 anni e mezzo) e ho sempre coltivato e analizzato i miei ricordi assieme a quelli di persone piu' grandi di me. Non ho mai appartenuto a ideologia alcuna, salvo quella di aiutare i miei simili, di qualunque parte essi fossero.
Per questo, oggi, mi sento in diritto e in dovere di parlare a tutti i giovani italiani, in assoluta verità e giustizia prima ancora che mosso da generosità per chicchessia.
Come ho già detto, non accetto che esistano "storici di destra" o "storici di sinistra".
Per questo, oggi, mi sento in diritto e in dovere di parlare a tutti i giovani italiani, in assoluta verità e giustizia prima ancora che mosso da generosità per chicchessia.
Come ho già detto, non accetto che esistano "storici di destra" o "storici di sinistra".
I vari Professori Universitari di Storia Contemporanea che si professano tali, in realtà sono solo Professori di Ideologia della Storia, mentre dobbiamo fare della storia una Scienza, e redigere i canoni (cui sto lavorando) per creare degli Istituti Universitari di Scienza della Storia
2 - la "amnistia Togliatti" salvò molti criminali, non solo della Repubblica Sociale, ma anche nel campo della Resistenza (ove avvennero anche pagine oscure e aberrazioni - parole del Presidente Napolitano). Mi riferisco ai 30.000 ( o 60.000 o piu') uccisi dopo il Maggio 45 e fino al 47, di cui parlano i libri di Graziani (200.000!), Pisano', Pansa, Vespa e vari altri. Su questo occorrerà fare piena luce, se si vogliono evitare macchie sulla ideologia della Resistenza, e per evitare che si dica sbrigativamente e superficialmente che i "vincitori" hanno scritto la storia che faceva loro comodo scrivere. Io non credo che esista un "revisionismo", ma solo un opportuno completamento di fatti avvenuti e da analizzare, e che furono necessariamente celati o minimizzati (fino ad oggi) per permettere - cosa comprensibile e condivisibile - il consolidamento del quadro politico.
3 - prima di prendere in esame il periodo Resistenziale, sarà opportuno fare un excursus storico del periodo antecedente.
2 - la "amnistia Togliatti" salvò molti criminali, non solo della Repubblica Sociale, ma anche nel campo della Resistenza (ove avvennero anche pagine oscure e aberrazioni - parole del Presidente Napolitano). Mi riferisco ai 30.000 ( o 60.000 o piu') uccisi dopo il Maggio 45 e fino al 47, di cui parlano i libri di Graziani (200.000!), Pisano', Pansa, Vespa e vari altri. Su questo occorrerà fare piena luce, se si vogliono evitare macchie sulla ideologia della Resistenza, e per evitare che si dica sbrigativamente e superficialmente che i "vincitori" hanno scritto la storia che faceva loro comodo scrivere. Io non credo che esista un "revisionismo", ma solo un opportuno completamento di fatti avvenuti e da analizzare, e che furono necessariamente celati o minimizzati (fino ad oggi) per permettere - cosa comprensibile e condivisibile - il consolidamento del quadro politico.
3 - prima di prendere in esame il periodo Resistenziale, sarà opportuno fare un excursus storico del periodo antecedente.
Fino al 1938 il Regime Fascista aveva goduto di ampio consenso, per le numerose realizzazioni, per la stabilizzazione portata in Italia etc.
Purtroppo aveva limitato pericolosamente la libertà individuale e di coloro che gli erano contrari (Tribunali politici, confino, etc) ma - al di là degli assassini politici (Matteotti, Amendola, Don Minzoni e qualche altro), superato il periodo delle "squadracce", il popolo italiano nella stragrande maggioranza aveva "accettato" la situazione. D'altra parte, è necessario ricordare che i Governi democratici precedenti, ispirati da casa Savoia, erano stati piuttosto "duri", quasi dittatoriali, (Bava Beccaris etc), e il Fascismo sembrò quasi più "dolce".
Certamente, la politica estera fascista era improntata all'aiuto ai regimi di destra (guerra di Spagna) e poi al completamento della avventura africana, iniziata molti anni prima, e volta a dotare l'Italia di un "Impero", forse per convogliarvi la emigrazione, ma soprattutto perche' allora, per divenire "grande e rispettata potenza", era necessario averlo.
Così aveva insegnato la storia passata, dalla Francia all'Olanda alla Spagna, al Portogallo, fino all'Inghilterra.
Purtroppo, le "sanzioni" imposte all'Italia per le questioni africane, ci buttarono in braccio alla Germania, mentre gran parte del Governo fascista e dei gerarchi (compreso Ciano e Grandi) era contrario, per le tradizioni culturali che ci legavano più alla Francia e all'Inghilterra.
Il prezzo dell'aiuto tedesco fu lo sciagurato Patto d'Acciaio, e poi l'Asse. Hitler riuscì a irretire Mussolini, e il Re Vittorio stava a guardare senza opporsi. A Monaco fu fatto il possibile per evitare la guerra; ci si sarebbe potuti opporre più decisamente a Hitler fin da allora anzichè compiacerlo come fecero Francia e Inghilterra: ma forsela Guerra sarebbe iniziata prima.
Quando nel '39 Hitler entrò in Polonia, Mussolini lo seppe solo dopo l'inizio dell'invasione. Questo la dice lunga su come i tedeschi rispettavano il Patto con noi, e penso, per il Governo italiano non fu una bella cosa. Forza e brutalità, alternati con blandizie ideologiche (Hitler diceva di considerare Mussolini come una persona cui si era largamente ispirato per la filosofia nazista, ma non era vero: il fascismo non aveva una ideologia precisa, salvo il richiamo alla romanità).
La politica antiebraica viene da noi molto dopo e "obtorto collo", mentre il "Mein Kampf" risente già dell'odio nazista contro le razze inferiori, compreso quella ebraica.
Da noi, Nicola Pende si illuse di aver dimostrato l'esistenza e la differenza tra le razze, stilando una "graduatoria" in cui era al primo posto la razza indoeuropea e la razza ariana, e questo costitui' la base "scientifica" perche' anche in Italia si facessero leggi razziali.
Purtroppo aveva limitato pericolosamente la libertà individuale e di coloro che gli erano contrari (Tribunali politici, confino, etc) ma - al di là degli assassini politici (Matteotti, Amendola, Don Minzoni e qualche altro), superato il periodo delle "squadracce", il popolo italiano nella stragrande maggioranza aveva "accettato" la situazione. D'altra parte, è necessario ricordare che i Governi democratici precedenti, ispirati da casa Savoia, erano stati piuttosto "duri", quasi dittatoriali, (Bava Beccaris etc), e il Fascismo sembrò quasi più "dolce".
Certamente, la politica estera fascista era improntata all'aiuto ai regimi di destra (guerra di Spagna) e poi al completamento della avventura africana, iniziata molti anni prima, e volta a dotare l'Italia di un "Impero", forse per convogliarvi la emigrazione, ma soprattutto perche' allora, per divenire "grande e rispettata potenza", era necessario averlo.
Così aveva insegnato la storia passata, dalla Francia all'Olanda alla Spagna, al Portogallo, fino all'Inghilterra.
Purtroppo, le "sanzioni" imposte all'Italia per le questioni africane, ci buttarono in braccio alla Germania, mentre gran parte del Governo fascista e dei gerarchi (compreso Ciano e Grandi) era contrario, per le tradizioni culturali che ci legavano più alla Francia e all'Inghilterra.
Il prezzo dell'aiuto tedesco fu lo sciagurato Patto d'Acciaio, e poi l'Asse. Hitler riuscì a irretire Mussolini, e il Re Vittorio stava a guardare senza opporsi. A Monaco fu fatto il possibile per evitare la guerra; ci si sarebbe potuti opporre più decisamente a Hitler fin da allora anzichè compiacerlo come fecero Francia e Inghilterra: ma forse
Quando nel '39 Hitler entrò in Polonia, Mussolini lo seppe solo dopo l'inizio dell'invasione. Questo la dice lunga su come i tedeschi rispettavano il Patto con noi, e penso, per il Governo italiano non fu una bella cosa. Forza e brutalità, alternati con blandizie ideologiche (Hitler diceva di considerare Mussolini come una persona cui si era largamente ispirato per la filosofia nazista, ma non era vero: il fascismo non aveva una ideologia precisa, salvo il richiamo alla romanità).
La politica antiebraica viene da noi molto dopo e "obtorto collo", mentre il "Mein Kampf" risente già dell'odio nazista contro le razze inferiori, compreso quella ebraica.
Da noi, Nicola Pende si illuse di aver dimostrato l'esistenza e la differenza tra le razze, stilando una "graduatoria" in cui era al primo posto la razza indoeuropea e la razza ariana, e questo costitui' la base "scientifica" perche' anche in Italia si facessero leggi razziali.
4 - Ed eccoci alla Guerra: Mussolini tergiversò - colla "non belligeranza" - più che potè, poi, di fronte agli straordinari successi dell'Esercito germanico, dopo il crollo della Linea Maginot, decise di entrare in guerra convinto che sarebbe durata non oltre sei mesi ("ho bisogno di 2000 morti per sedermi al tavolo della pace" - con analogie alla guerra di Crimea del secolo prima).
Ma le cose andarono diversamente: dopo i successi vennero i guai, in Grecia, in terra d'Africa (noi fummo una bella palla al piede per i tedeschi, forse hanno perduto per causa nostra), e poi lo sciagurato attacco alla Russia.
Il consenso al regime fascista stava declinando in Italia, e Mussolini - malgrado la lenta conversione e le sollecitazioni del Re Vittorio Emanuele, preoccupato più di Casa Savoia che della situazione italiana - non aveva il coraggio di staccarsi dall'alleato: forse pensava che una qualunque "pace
separata" avrebbe segnato la sua fine politica, dato che aveva sempre urlato "vinceremo!".
Ma le cose andarono diversamente: dopo i successi vennero i guai, in Grecia, in terra d'Africa (noi fummo una bella palla al piede per i tedeschi, forse hanno perduto per causa nostra), e poi lo sciagurato attacco alla Russia.
Il consenso al regime fascista stava declinando in Italia, e Mussolini - malgrado la lenta conversione e le sollecitazioni del Re Vittorio Emanuele, preoccupato più di Casa Savoia che della situazione italiana - non aveva il coraggio di staccarsi dall'alleato: forse pensava che una qualunque "pace
separata" avrebbe segnato la sua fine politica, dato che aveva sempre urlato "vinceremo!".
5 - Eccoci al 25 Luglio ‘43, preparato - sembra - da un accordo Grandi-Acquarone.
Gli italiani non volevano piu' saperne della guerra, che era attribuita esclusivamente (ma a torto) al volere del Duce. Questo spiega la euforia con cui fu accolta la notizia delle dimissioni di Mussolini, ma molti - ricordo - rimasero interdetti per il suo arresto, che "disonorava" Casa Savoia. Comunque, la guerra continuava a fianco dei tedeschi, con Badoglio Primo Ministro.
Ma quando l'8 Settembre ’43 Badoglio annunciò l'armistizio "per la impossibilità di proseguire la guerra contro le soverchianti forze alleate", accanto alla gioia per il ritorno a casa dei combattenti
si ebbe un forte sentimento di umiliazione soprattutto per il "tradimento" perpetrato nei confronti dell'alleato tedesco che non era stato nè consultato nè avvisato, assieme ad una forte paura per le sue probabili reazioni. E intanto il Re fuggiva da Roma.
Occorre notare che l'annuncio di Badoglio trasformo' di fatto le forze tedesche da alleate a "occupanti" a loro insaputa e senza che lo volessero.
Ma la cosa più grave fu che nell'annuncio di Badoglio non c'è alcuna esplicita richiesta alle forze tedesche di lasciare l'Italia e di schierarsi a nord al di là dei confini. Per questo furono legittimate a restare in Italia, pensando di difenderela Germania nel contrastare l'avanzata alleata. Ma la mancata richiesta di evacuazione dell'Italia ebbe una conseguenza molto più rilevante: in pratica, il Re rinunciava ufficialmente a estendere la sua giurisdizione su tutta la parte del paese a nord della linea di combattimento, cioè su due terzi di Italia.
6 - A questo punto, per la povera Italia, si profilava una dura e vendicativa dominazione tedesca, magari con un apposito "gauleiter" al comando. Ricordo benissimo la riorganizzazione della Decima Mas aLa Spezia , il 9 Settembre '43 e lo schierarsi al fianco dei tedeschi: sembrò che in qualche modo si riscattasse il "tradimento".
Ma per non lasciare ai tedeschi il comando assoluto su gran parte dell'Italia era assolutamente indispensabile dar vita ad un Governo italiano (certo, fortemente "controllato e condizionato" dai tedeschi).
E dopo la liberazione di Mussolini, la nascita della Repubblica Sociale Italiana, al di là della avversione per lui di una parte consistente del popolo italiano, fu salutata con gioia, perché era
Occorre notare che l'annuncio di Badoglio trasformo' di fatto le forze tedesche da alleate a "occupanti" a loro insaputa e senza che lo volessero.
Ma la cosa più grave fu che nell'annuncio di Badoglio non c'è alcuna esplicita richiesta alle forze tedesche di lasciare l'Italia e di schierarsi a nord al di là dei confini. Per questo furono legittimate a restare in Italia, pensando di difendere
6 - A questo punto, per la povera Italia, si profilava una dura e vendicativa dominazione tedesca, magari con un apposito "gauleiter" al comando. Ricordo benissimo la riorganizzazione della Decima Mas a
Ma per non lasciare ai tedeschi il comando assoluto su gran parte dell'Italia era assolutamente indispensabile dar vita ad un Governo italiano (certo, fortemente "controllato e condizionato" dai tedeschi).
E dopo la liberazione di Mussolini, la nascita della Repubblica Sociale Italiana, al di là della avversione per lui di una parte consistente del popolo italiano, fu salutata con gioia, perché era
di fatto uno "scudo" anche se labile contro lo strapotere tedesco e restituiva agli italiani
la sovranità sull'Italia.
In effetti, nasce conla Repubblica Sociale la prima "resistenza" ai tedeschi : si impedisce che portino in Germania le industrie (compreso la FIAT ), si cerca di limitare le loro pretese territoriali, si ristabilisce una "legalità" nella vita civile, però non si riesce a (o non si vuole) evitare il trasferimento degli ebrei in Germania.
E soprattutto, col Manifesto di Verona e le altre prese di posizione, si cerca di introdurre qualcosa di veramente nuovo, che verrà fortemente osteggiato dai proprietari: la “socializzazione delle Aziende”, che introduce per la prima volta il concetto sacrosanto di partecipazione agli utili aziendali per tutti coloro che vi lavorano, operai, impiegati etc. Questo concetto viene ripreso e proposto (Amato etc) da molti economisti attuali: vedremo se avrà miglior fortuna!
In effetti, nasce con
E soprattutto, col Manifesto di Verona e le altre prese di posizione, si cerca di introdurre qualcosa di veramente nuovo, che verrà fortemente osteggiato dai proprietari: la “socializzazione delle Aziende”, che introduce per la prima volta il concetto sacrosanto di partecipazione agli utili aziendali per tutti coloro che vi lavorano, operai, impiegati etc. Questo concetto viene ripreso e proposto (Amato etc) da molti economisti attuali: vedremo se avrà miglior fortuna!
Tornando alla questione della legittimità della RSI, essa risiede nel fatto che:
a) non si poteva lasciare senza governo alcuno una parte consistente di Italia (oltre due terzi!).
b) si doveva ripristinare un governo "alleato" dei tedeschi: se avessero vinto la guerra, forse si poteva recuperare qualcosa. Ricordiamoci che nel '44 le nuove armi erano tutt'altro che fuori gioco: V2, V3 e bomba atomica (rallentando i neutroni con acqua pesante) potevano vedere veramente la luce. Mancò il tempo, ma con 6 mesi - un anno di guerra in più, chissà. Fu veramente una lotta contro il tempo.
.
c)la RSI doveva quindi lottare contro gli angloamericani per ritardarne piu' possibile l'avanzata.
c)
d) a livello di governo RSI si pensava veramente in buona fede di aver riscattato l'onore d’Italia compromesso dal comportamento del Re e di Badoglio. Non dimentichiamo le parole dei Generali Alexander e Eisenhover dopo la battaglia di Anzio: "I ragazzi della Repubblica Sociale hanno combattuto eroicamente e hanno riscattato in parte l'onore italiano".
e) la RSI fu riconosciuta da 11 paesi (ovviamente, gli alleati della Germania) ma non può essere assolutamente considerata un "governo fantoccio", epiteto che si può dare solo ai governi promossi dai tedeschi in territori nemici e da loro occupati (Francia, Polonia, Cecoslovacchia etc) . Questo
non è il caso dell’Italia, alleata dei tedeschi fino al 7 Settembre ’43.
non è il caso dell’Italia, alleata dei tedeschi fino al 7 Settembre ’43.
f) si doveva restituire una “legalità” alla vita civile del popolo, un governo efficiente per le mille necessità belliche e una magistratura funzionante; si doveva assolutamente impedire ai tedeschi di far “terra bruciata” dell’Italia, di portar via le Industrie più grandi, di annettersi parte del territorio italiano (cosa riuscita solo in parte). Non si riuscì a evitare (o non si volle) il trasporto degli ebrei in Germania.
7 – la Resistenza
Con la nascita della RSI si pone un delicato problema: la ricostituzione del suo esercito. Molti lo volevano di soli volontari, ma purtroppo prevalsero i favorevoli alla coscrizione obbligatoria.
Occorre tener presente che a fine ’43, dopo lo sbandamento seguito all’8 Settembre, gran parte
dei giovani non voleva più saperne della guerra: delusi dalle promesse di Mussolini, volevano solo tornare a casa.
Quando uscì il Bando Graziani che li richiamava alle armi, furono in molti che non vi aderirono.
Ma così facendo divenivano renitenti alla leva, disertori, passibili di fucilazione immediata dopo sicuro riconoscimento delle generalità. Così accadde per i poveri cinque ragazzi di Firenze, fucilati davanti allo Stadio Berta.
Questo sarà in seguito il destino di tutti i partigiani catturati, salvo quelli imprigionati per eventuale “scambio” o per estorcere loro mediante tortura informazioni su loro colleghi e sui luoghi ove si radunavano.
Dopo un periodo di ombra, in cui chi non aderì al Bando Graziani si nascose nelle case o “andò in montagna”, nacquero i primi gruppi di persone che cercarono di difendersi dall’essere scovati e poi passati per le armi. Ma solo successivamente, quando sorsero o tornarono dall’estero i futuri capi politici, nacquero le Formazioni Partigiane, col compito non più di difendersi, ma di attaccare i tedeschi e le Formazioni della RSI.
Ecco via Rasella e la rappresaglia delle Fosse Ardeatine. Terribile fu la scelta e la responsabilità dei capi partigiani, che da allora in poi sottopose anche la popolazione civile alle eventuali rappresaglie da parte di chi (tedeschi e RSI) non aveva tempo né possibilità (perché doveva fare la guerra agli angloamericani!) di cercare e punire i veri responsabili degli attacchi proditori, per di più compiuti da persone “senza divisa” e quindi fuori dalla tutela delle leggi di Ginevra. Ma d’altra parte, senza questa scelta non ci sarebbe stata la Resistenza , i suoi ideali, i suoi martiri, e la nascita di una coscienza nuova nel popolo italiano.
8 - le contraddizioni nella Resistenza
Gli angloamericani (oltre un milione di uomini) lentamente avanzavano, si formava “l’esercito del Sud” (che Casa Savoia riuscì a organizzare malgrado forti resistenze inglesi), le Formazioni partigiane aiutavano come potevano, data la non forte consistenza (30.000 – 50.000 uomini). Ma gravi furono i dissidi politici nel loro interno: c’era chi voleva dar vita - dopo l’eventuale vittoria angloamericana - ad una Democrazia rappresentativa, ma c’erano altri (i Gappisti etc) che miravano all’instaurazione di una Dittatura del proletariato, come in Russia.
Gravi episodi accaddero: scontri (Porzus etc), denunce ai tedeschi dei luoghi ove erano le Formazioni rivali perché fossero eliminate (senza responsabilità diretta!), uccisioni di capi “moderati” etc. Comunque, non si può e non si deve mettere in dubbio la buonafede, né degli aspiranti alla democrazia, né degli aspiranti alla dittatura, anche se i metodi impiegati necessiterebbero di seria riflessione.
9 – il 25 Aprile ‘45
Gli angloamericani avanzavano rapidamente, dopo l’aggiramento in Adriatico della Linea Gotica.
Il Generale Wolff stava trattando (con emissari in Svizzera, e all’insaputa di Mussolini, e di Hitler, naturalmente) la resa degli ottocentomila tedeschi in Italia Le forze della Resistenza erano aumentate consistentemente dalla fine di Marzo – chi rinuncia in Italia a salire sul carro del vincitore? – da poco meno di centomila aderenti a oltre un milione.
L’insurrezione di Milano fu il culmine: là si intravide il nuovo futuro ordinamento italiano, probabilmente il sistema democratico, che in ogni caso, volenti o nolenti, sarebbe stato imposto dai vincitori. La spartizione del mondo fatta a Yalta non lasciava dubbi, e Stalin (e quindi Togliatti) si adeguarono senza batter ciglio. Stalin poi, rispettando i patti per l’Italia, avrebbe avuto mano libera per imporre i suoi governi “fantoccio” nell’oltre cortina, durati – tra rivolte varie – fino alla caduta del muro di Berlino.
Ma un fatto di inaudita gravità avvenne il 26 – 27 – 28 Aprile: l’assassinio senza processo dell’intero Governo della RSI, malgrado il disperato tentativo degli americani di prenderli tutti prigionieri. La responsabilità fu del CLN, o forse del CLNAI, che emise una condanna a morte “nel nome del popolo italiano”. Lo stesso Pertini, interrogato da cronisti RAI, rievocò il mancato incontro con Mussolini dal Cardinale Schuster (arrivò tardi), dicendo espressamente che se era presente avrebbe chiesto la resa senza condizioni di tutte le forze della RSI e l’arresto del suo Governo, e alla richiesta del cronista su cosa avrebbero fatto dopo, rispose testualmente:
“Li avremmo passati per le armi..”
Certo, un processo tipo Norimberga sarebbe stato estremamente scomodo per i vincitori. Meglio evitarlo. Ma il popolo italiano aveva il diritto-dovere di parteciparvi, quale accusatore e quale imputato.
Dopo questa lunga premessa, su cui ti prego farmi ogni tipo di critica per capire cosa condividiamo e cosa non, mi accingo a rispondere alla tua lettera.
Ritengo di grande importanza quello che ti dirò. Ne va della sopravvivenza dell’ANPI e del Movimento Partigiano, che potrà durare in futuro nella misura in cui saprà storicizzarsi e accettare la buonafede dell’avversario.
Tu parli di ” non recare offesa ai principi che regolano i comportamenti della persona umana” ed “evitare di minare le basi delle regole democratiche”.
Giusto.
Ma questo, se vale per i “vincitori” deve valere anche per i “vinti”, altrimenti si vuole una pacificazione esclusivamente imposta ai vinti in base ad un criterio personale, soggettivo, costruito dai vincitori per umiliare e non riconoscere loro alcuna legittimità .
Quindi, NON RECHEREMO OFFESA NEMMENO AI PRINCIPI CHE REGOLARONO I COMPORTAMENTI DELLE PERSONE CHE CREDETTERO E MILITARONO NELLA REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA.
Giusto?
Poi: la “verità storica”, quella vera, NON MINA LE BASI DELLE REGOLE DEMOCRATICHE E DELLA CONVIVENZA CIVILE. La nostra Costituzione non teme alcun revisionismo perché adotta principi generali validi per tutti e valori non necessariamente e non solo ispirati dalla Resistenza ma anche dalla Costituzione della RSI. Non dimentichiamo inoltre che il referendum sulla monarchia/repubblica andò in favore della repubblica proprio perché al nord la RSI “abituò” gli italiani per 600 giorni a fare a meno della monarchia (e ne stigmatizzò i comportamenti), malgrado che i Savoia avessero origine nel nord. I voti alla monarchia vennero soprattutto dal sud, ove aveva continuato a regnare il Re.
Per quanto riguarda la buonafede, non si può mettere in discussione quella del singolo: ma allora nemmeno quella di un gruppo di singoli, né quella formata da un esercito di gruppi di singoli o da un governo formato da singoli.
Quando riusciremo a esaltare l’avversario (tanto più se vinto) per i valori di cui fu portatore – e che anche i vincitori in parte assunsero – anziché solo denigrarlo per gli errori commessi?
Analizzare con serenità i comportamenti del vinto fa più grande e storicizza il vincitore; così facevano gli antichi romani (leggi, ad es., Sallustio Crispo e la morte di Catilina).
E soprattutto non deriderne né il ricordo né i nomi, e non deridersi a vicenda: quando finiremo di chiamare i soldati della RSI “repubblichini” e non “repubblicani”, come li chiamavamo nel ’45 e fino al ’50 ? Quando smetteremo di chiamare “Repubblica di Salò” (per tentare di minimizzarne e deriderne la portata) la Repubblica Sociale Italiana ?
E dico agli esaltatori della RSI: quando la finirete di chiamare “Resistenzina” (per minimizzarne l’importanza) la Resistenza , e la finirete di chiamare “grattigiani” (perché rubavano nelle case, per necessità, soprattutto il cibo) o “banditen” o “ribelli”, i Partigiani?
Quindi, diremo ai nostri giovani:
Viva Casa Savoia, per l’unità d’Italia conseguita (magari un po’ fortunosamente) al termine del Risorgimento e per la democrazia (magari un po’ autoritaria) realizzata dai suoi Governi, che in ogni caso avviarono la trasformazione in senso moderno dell’Italia.
Abbasso Casa Savoia, per l’acquiescenza al Fascismo, fino a permetterne la trasformazione in “regime” con lo scioglimento del Parlamento (e sua trasformazione in “Camera dei Fasci e delle Corporazioni), e per l’adesione alle Leggi Razziali, la mancata ostilità alla alleanza con i tedeschi e all’inizio della Guerra, e per il suo non onorevole atto conclusivo.
E dopo la nostra sconfitta l’8 Settembre, diremo ai giovani:
Viva la Repubblica Sociale Italiana, per la sua Costituzione, per i valori di fedeltà ad una alleanza tradita, per la strenua ed eroica resistenza agli Angloamericani, per la riaffermazione dell’esistenza di uno Stato italiano (del nord) e la sua organizzazione, anche quando altri lo avevano abbandonato al suo destino di “terra di nessuno” colonizzata (e brutalizzata) dai tedeschi, per il martirio subìto dai suoi seguaci fino al 1947.
Abbasso la Repubblica Sociale Italiana, per non essersi opposta con fermezza alla esasperazione delle rappresaglie e delle stragi tedesche (rasentandone la connivenza), per la riaffermazione delle Leggi Razziali e non avere impedito il trasporto in Germania degli ebrei italiani (che dovevano restare sotto la sua giurisdizione), per il terribile Processo di Verona (vendetta per il 25 Luglio).
Viva la Resistenza , per i grandi ideali di cui fu portatrice (che poi hanno condotto alla attuale Costituzione), sia che affermassero per l’Italia la necessità di una forma di Democrazia rappresentativa che abolisse il totalitarismo fascista sia che tendessero all’affermazione di una Dittatura del proletariato di stampo sovietico che lo sostituisse.
Viva la Resistenza , per il martirio di tanti partigiani, per il contributo al riscatto del popolo italiano nel dopoguerrra, nel tentativo di non lasciare che ciò avvenisse esclusivamente ad opera
dei vincitori angloamericani, e per aver costituito il terreno per la ricostruzione e la ridefinizione dei partiti che avrebbero dato vita alla democrazia parlamentare.
Abbasso la Resistenza , per gli orrori della lotta politica tra i suoi aderenti, per l’assassinio senza processo dell’intero Governo della RSI, per aver permesso che l’odio per il vinto si trasformasse anche in vendette personali volte all’eliminazione di persone scomode e ciò almeno fino al ’47, per il tentativo, ancora oggi in atto, di demonizzare, dileggiare, minimizzare i valori dell’avversario vinto, e per la mancata volontà di storicizzazione, equanime valutazione, accertamento di veridicità di fatti, valutati e messi in luce spesso solo in base al loro apporto concreto al mito resistenziale.
Certo, per la creazione di una “storia e memoria condivisa” occorrebbe una Commissione Parlamentare “ad hoc” che redigesse i testi con l’aiuto di tutti. Ma forse ce la faremmo, invece delle storture della storia cui assistiamo continuamente e che hanno motivazioni politiche.
Caro Massimo, ho espresso le mie idee. Sarei felice se l’ANPI potesse recepirne qualcuna che ponesse termine ai gravi dissidi, non tanto ideologici (che debbono sempre esserci) quanto di veridicità sui fatti avvenuti e generatori di storia.
Attendo qualche tuo commento. Cordiali saluti.
Fabio UCCELLI
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