domenica 24 aprile 2011

UCCELLI - LETTERA A PERTINI 1978

Fabio Uccelli                                                                                           Firenze, giorno della Elezione
Via Faenza 66
FIRENZE       


  Lettera di un bimbo del '43 
   A Sandro Pertini, Presidente di tutti gli italiani


Un bimbo poco più che decenne, nell'autunno tristissimo che vide l'inizio della guerra civile in Italia, piangeva, nell'atto di lasciare l'amato Appennino che un esercito tedesco già presago della imminente fine di un folle sogno si apprestava disperatamente a trasformare in ultimo baluardo gotico.
Nel suo pianto c'era non tanto l'umiliazione per una guerra sconsideratamente iniziata e ovviamente perduta, quanto un terribile presentimento: stavano per affrontarsi e uccidersi fratelli, parenti, amici, italiani insomma, che non riconoscevano la Patria comune se non nella vittoria del proprio ideale, e forse nella eliminazione fisica del proprio avversario; a tanto ci aveva condotto la logica di una dittatura.
Quel bimbo non poteva capire la necessità storica di un bagno di sangue tra fratelli per riconquistare le libertà perdute, perché non sapeva la sofferenza di chi lottò invano per mantenerle.
Pianse ancora, dall'alto delle colline attorno Firenze, chiedendosi perché mai, al di là della guerra degli Eserciti stranieri, gruppi di Italiani si affrontassero e si uccidessero tra loro con animo e determinazione pari se non superiori a quelle che opposero tra loro gli antichi Romani all'epoca della lotta contro Catilina.
Pianse, rispettando, indipendentemente dalla giustizia dei loro ideali, Coloro che erano morti dall'una e dall'altra parte, pur fidando nella vittoria dell'ideale più giusto, quello di libertà.     
Pianse infine amaramente quando si decise di uccidere il Tiranno, sottraendolo ad un pubblico processo cui tutto il popolo italiano aveva il diritto-dovere di partecipare: forse sentiva che si era perduta per sempre l'occasione per una pacificazione che non è più avvenuta.
Quel bimbo è divenuto uomo in questa nostra Repubblica, e da allora ha fatto suo il Tuo insegnamento sul carattere sacro ed assoluto della Libertà bene supremo ed inalienabile, anche se talvolta il sapore amaro di quelle sue lacrime gli torna in gola, quando certe Brigate che si dicono Rosse uccidono predeterminatamente e in realtà senza processo, quasi a voler nuovamente innescare una spirale di divisione e di odio che tutti noi, oggi uomini liberi, dobbiamo respingere e combattere, come Tu dici, a costo della nostra stessa vita.
All'Italia auguro che la Tua vita, lungo travaglio iniziato nella lotta di parte sofferta e partecipata come pochi altri ma concluso nel suo più luminoso superamento, sia un esempio ed un monito per tutti noi a ricercare instancabilmente in ciò che sembrò e sembra dividerci ciò che in realtà ci unisce, perché questo è l'unico insegnamento da seguire per chi voglia veramente il bene della Patria comune, nell'ambito di una dialettica solidamente e solidalmente democratica.
A Te auguro di poter veramente essere il Presidente di tutti gli Italiani, nel segno di una ritrovata concordia nazionale che unisca tutti i morti ed i vivi di ieri e di oggi.
                                                                         
     (Fabio Uccelli)

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